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Anche a distanza non c’è didattica senza relazione

A settembre riprende la scuola.
Quale scuola?
Da anni parole come condivisione, laboratorialità, vicinanza, collaborazione, costituiscono le coordinate dell’organizzazione della didattica per tanti docenti.
La Casa degli Insegnanti ha sempre sostenuto una didattica fatta di prossimità, in cui la relazione personale e la vicinanza dell’insegnante, e non solo nei primi gradi dell’istruzione, fondino e informino le buone pratiche.
Per questo appare almeno improprio, parlare di didattica a distanza, a meno che non si ridimensioni il termine.
Quando la scuola in presenza si è interrotta, i docenti, dopo alcuni giorni di incertezza e smarrimento, hanno ripreso progressivamente a lavorare mettendo in campo azioni di compensazione come ad es. l’invio di contenuti, di video e/o audio, l’attivazione di videoconferenze in modalità sincrona o asincrona, hanno sollecitato la puntualità nell’esecuzione di compiti, hanno raccolto ordinatamente dati e cercato strumenti di controllo e verifica per avere la misura dell’efficacia del loro lavoro.
Quest’ultima attività si è spesso rivelata difficile quando non impossibile.
Nell’attività didattica ordinaria l’insegnante faceva emergere le difficoltà osservando i propri allievi in azione, e le difficoltà stesse diventavano gli scalini su cui costruire e adattare la comunicazione, in uno scambio sistemico che voleva coinvolgere l’intero gruppo classe.
La tensione delle interrogazioni, la complessità delle relazioni interpersonali, l’alternarsi degli insegnanti, le difficoltà e le emergenze gestionali, organizzative, quotidiane… tutto contribuiva a rendere il sistema complesso e articolato dal punto di vista comunicativo e relazionale: una multidimensionalità emotiva.
Nello spazio virtuale gran parte delle azioni di compensazione hanno funzionato proprio perché sono riuscite ad evocare quella intimità tante volte vissuta in aula, ma la profondità si è ridotta, il dialogo si è fatto “bidimensionale”.
Alla normalità non più praticata, ma soltanto evocata, si sono riferite le azioni, cercando palliativi e sostitutivi che prendessero il posto di spiegazioni, interrogazioni, verifiche e valutazione.
E poi ci si è resi conto della necessità di andare oltre gli esercizi, è apparso fondamentale essere al fianco di famiglie, bambini e ragazzi e accompagnarli nel confronto con l’emergenza e le sue conseguenze, pratiche, emotive e psicologiche.
Spesso studenti, docenti e famiglie hanno condiviso emozioni e sciolto dubbi trovando sostegno reciproco continuo anche negli spazi virtuali.
Anche questa importantissima dimensione ha fatto leva su un rapporto preesistente.
L’avvio in presenza è indispensabile specie per queste situazioni, ma anche per restituire senso e profondità a quelle attività virtuali ben organizzate, nate in contesti ricchi di strumenti e competenze informatiche, perché deve fondarsi e agganciarsi alle relazioni interpersonali vere.
Per la strada si sono smarriti gli insegnanti meno preparati; si sono resi irreperibili gli studenti meno attivi, mentre insistevano quelli meno attrezzati, ma motivati; si sono arresi i colleghi alle soglie della pensione; hanno rinunciato o protestato le famiglie prive di mezzi e istruzione; si sono sbizzarriti gli insegnanti-blogger e mortificati quelli bravi, ma non istrionici né estroversi; si sono moltiplicati i gruppi WhatsApp, e potenziate le piattaforme, si sono gonfiati di dati e funzioni i registri elettronici e saliti nella considerazione dei colleghi gli insegnanti smanettoni …
Esiste una disparità di risultati e contenuti, di progetti e realizzazioni, di stili ed espedienti e sarebbe tanto interessante quanto impossibile raccogliere e catalogare tutto senza un filtro.
Eppure, qualunque sia stato il supporto tecnologico, l’applicazione o il dispositivo utilizzato, l’elemento qualificante è stata proprio la capacità di mantenere e custodire l’umanità all’interno del messaggio.
I progetti che hanno funzionato non si misurano con il livello di tecnologia o di efficienza formale, ma con quello di condivisione e di efficacia relazionale.
Sono queste le esperienze che sarebbe interessante per noi raccogliere e diffondere, questo l’aspetto qualificante coerente con la nostra storia.
Spedire compiti coerenti con i programmi da svolgere, in progressione cronologica, accompagnati da verifiche on line, poteva sembrare il cuore della Dad, ma se ci si è limitati a questo non c’è stato il battito.
Certamente alcune nuove pratiche, come l’invio di materiali e/o l’opportunità di rivedere o ascoltare lezioni audio-video per gli studenti, nel rispetto di tempi e modalità di apprendimento che favoriscano in quelli più deboli il superamento di difficoltà, come lo svolgimento a distanza di alcune riunioni, che può aver favorito una maggiore partecipazione, la documentazione on line… potrebbero diventare buone pratiche nelle scuole, ma resta una domanda inquietante:
Se è vero che gli allievi più deboli sono quelli cui non deve mancare il sostegno personale ed empatico, è anche vero che costoro possono appartenere a contesti familiari di analfabetismo digitale. Allora questa esperienza, per la innegabile necessità di utilizzare competenze e dispositivi più o meno sofisticati e complessi, ha allontanato ancora di più gli allievi più fragili?

Rino Coppola
(Direttivo La Casa degli Insegnanti)